Vite da esplorare, annusare, osservare, toccare.
Spesso ci sono più cose Naufragate in fondo a un'anima, che in fondo al mare
▬▬ Victor Hugo ▬▬
«Quello che segue sarà uno scritto articolato in brevi appunti settimanali per un totale di quattro articoli, che spero possano essere interessanti e perché no, anche utili, per comprendere che cosa succede ad alcune persone che hanno bisogno di una psicoterapia pur non presentando particolari patologie. Non vi è l'intenzione, da parte mia di presentare uno scritto scientifico, bensì contenuti narrativi che siano spunto di riflessione per tutti affinché ogni persona possa "sentirsi al centro" della sua esistenza.» - Rosanna Liburdi -
Quando ci sentiamo in difficoltà, in conflitto per qualcosa, spesso restiamo a guardare fermi e immobili lì.
Non in un angolo, no.
Piuttosto, al centro della stanza bloccati e arresi come un vecchio mobile che dopo un trasloco viene lasciato nella casa che rimarrà vuota, pensando: "forse qualcuno lo userà ancora".
E noi li, coi remi tirati su in barca a dire nulla, a fare nulla, a pensare nulla, a sentire nulla. Tanto siamo in sospeso del “chissà che cosa sarà di noi”.
Che cosa ci rende così?
Che cosa è accaduto alla nostra vita tanto da renderla improvvisamente così dannatamente indegna di essere ancora esplorata, annusata, osservata, toccata.
Ci deve essere pure qualche evento accaduto che ci ha inferto una ferita così profonda che, pur sopravvissuti, la sua immobilità ci garantisce senza saperlo un fazzoletto ancora di speranza alla quale potersi aggrappare, magari per leccarsi quella ferita.
Vediamo scorrere tante vite intorno a noi, spesso, in modo analogo, bloccate ma non vedendo noi stessi, tantomeno gli altri non è che ci soffermiamo per guardare veramente cosa sia questo strano fenomeno che paralizza.
Il paradosso: bloccati ma incapaci di soffermarci per pensare.
Pensare a cosa, poi? Al pensare!
Pensare al nostro se', in grado di stare sulla propria capacità di avere una mente, di essere una mente in funzione.
Struttura e funzionamento insieme come il complicato complesso meccanismo di un orologio.
Cosa affascinante e quasi incredibile al contempo.
Quali sono i nostri bisogni, i nostri desideri, va' di moda parlarne ma io chiedo altro, siamo in grado di individuare proprio i "nostri" bisogni e desideri?
Perché spesso trovo scritto in testi narrativi, o ascolto storie che oggi come oggi la vera minoranza e' di chi mostra all'altro di avere un suo pensiero, che sia davvero personale, sganciato dal pensiero comune universale.
Sembra che un finto quieto vivere, scrive per esempio P. Mastrocola in un suo romanzo, sia la divisa comoda che indossiamo per sentirci protetti e inattaccabili.
Aggiungerei, almeno possiamo anche con grandi illusioni e patologici ideali dell'Io, andare passeggiando per le strade di questa società sentendoci vincenti, quelli che son visti dagli altri come ok o perlomeno se non siamo ok, ben con-fusi e dunque indistinti gli uni dagli altri.
Sicuramente, in tale astruso pensiero ma dall'impeccabile logica, e' come a dire: "beh se non sono il numero uno, quantomeno sarò pigramente, lietamente adattato alla maggiore frequenza statistica ergo "normale".
Risultato, promosso da parenti, amici, contatti di socialnetwork o nemici dell'alta tecnologia. In ogni caso promosso dal gruppo a cui tendo appartenere senza scegliere di appartenere proprio a un bel niente. Mah... Continuo a pormi con curiosità, in qualità di psicoterapeuta, e soprattutto di essere umano, le domande sui bisogni e sui desideri e continuo a porle ai pazienti quando si sentono bloccati e tali rimangono, come dei veri e propri stoccafissi posti dinanzi a domande così strane.
D'altro canto, mi chiedo pure: come potremmo mai riconoscerli in una casa impolverata, abbandonata a se stessa, con noi lasciati li, mezzi morti in piena solitudine a parte la compagnia di ingegnose creature in grado di tessere, a differenza di noi, degli "intrecci di relazione coi fili, chiamate ragnatele?
Il ragno e' competente in questo suo operare.
Sarà dunque una questione di relazioni, di sapersi "rapportare con", fra l'altro
per i ragni è un affare di poco conto, roba di filogenesi e ontogenesi.
Loro hanno una competenza specifica che è quella di abitare l'ambiente in cui vivono, per questo motivo sono in grado di "costruire", "intrecciare" i fili per loro stessi.
In questo caso per noi la questione sarebbe un po' più complicata visto che "abitare" un mondo è il continuo intreccio temporale delle nostre vite l'una con l'altra e con l'ambiente che ci circonda e noi esseri umani ci rendiamo spesso inermi di fronte a tali esperienze. Non è forse così?